Lettera all’America
di Monica Lanfranco
E’ una delle più grandi autrici canadesi femministe viventi, si chiama Margaret Atwood, e un paio di suoi libri sono stati paradigmatici nella descrizione letteraria e politica di due risvolti drammatici dell’umanità femminile: la schiavitù e l’emarginazione nei regimi religiosi da una parte, e la schiavitù delle dittature culturali del mercato nei regimi laici dall’altra. La prima descritta ne Il racconto dell’ancella, un dolente giallo fantascientifico nel quale si mescolano l’arretratezza dell’Afganistan sotto i taleban e l’aridità dell’occidente ricco ed egoista, la seconda ne La donna da mangiare, uno (in apparenza) scoppiettante ritratto di giovane donna afflitta dai malesseri delle civiltà opulente: la bulimia e l’anoressia. In sintesi, come nel titolo di un altro testo, questa volta dell’indiana Anita Desai, Atwood ha messo in scena lo scontro tra due tendenze e maledizioni degli estremi culturali dei nostri tempi: digiunare, divorare, la drastica condizione di squilibrio degli esseri umani in questo pianeta. Prudente nel firmare appelli, sapiente descrittrice delle miserie e delle grandezze del contraddittorio e straordinario continente nordamericano la Atwood ha di recente scritto una lettera, che lei stessa ha definito “davvero difficile” ad un soggetto altrettanto arduo da identificare come mittente: l’America, o meglio quel nord America che nella finzione letteraria diviene una persona cara alla quale ci si rivolge con passione e dolore: “Confesso di avere difficoltà a capire che cosa sia oggi tu sia, -scrive-”. Atwood elenca cose condivise anche da noi europei: i fumetti dell’infanzia, Paperino e Topolino, la musica di Ella Fitzgerald, dei Platters, di Elvis. Come darle torto quando nomina “alcuni tra i mie libri più cari”: Huckleberry Finn, Beth and Jo in Piccole donne , coraggiose in modi diversi. E poi Whitman, ed Emily Dickinson, testimone dell’anima umana femminile, Hammett e Chandler, eroi della strada e Hemingway, Fitzgerald, and Faulkner, che tracciarono i percorsi dei labirinti oscuri del cuore, e ancora Sinclair Lewis e Arthur Miller, che con il loro idealismo hanno indicato le strade per fare dare dignità all’agire umano. Tu - scrive Atwood agli Stati Uniti - hai indicato alle moltitudini la via per l’onestà, la giustizia e la libertà, hai protetto gli innocenti. Ho creduto a tutto questo, è stato vero, e reale, fin qui. Non mi addentro nelle motivazioni che ti hanno portato all’avventura in Irak. So solo che tu hai sventrato la Costituzione e il risultato? La tua casa è stata invasa, sei stata incarcerata senza ragione, la tua posta spiata, i tuoi ricordi privati violati. Ti hanno detto che tutto questo lo si sta facendo per il tuo bene, ma fermati un attimo a riflettere: perché hai così paura, al punto da distruggerti? La gente nel mondo sta iniziando a non credere più nelle cose buone che hai costruito, la gente nel mondo sta guardandoti distruggere le leggi della giustizia, stanno pensando che tu hai distrutto e infangato il tuo stesso nido. Nel mito anglosassone c’è la figura di Re Artù, che non sarebbe morto, ma starebbe dormendo in una grotta, e nel momento del massimo pericolo si sveglierebbe, per tornare a salvare il mondo. Anche tu, amica mia, annoveri figure di donne e uomini da risvegliare, persone coraggiose, oneste, giuste: hai bisogno di loro, chiamali a raccolta per ispirarti e difendere le cose migliori che ci sono ancora in te”.
Acqua: risorsa non negoziabile dal mercato
di Vandana Shiva
Riportiamo questi brani dal primo capitolo del nuovo libro di Vandana Shiva, Le guerre dell'acqua . Fisica ed economista indiana, tra i massimi esperti internazionali di economia sociale, attivista politica e ambientalista, ha ricevuto il Nobel alternativo per la pace nel 1993. Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi.
A chi appartiene l'acqua? E' una proprietà privata o un bene pubblico? Quali diritti hanno, o dovrebbero avere, le persone? Quali sono i diritti dello Stato? Quali quelle delle imprese e degli interessi commerciali? Nel corso della storia tutte le società' si sono poste questi interrogativi fondamentali.
Oggi ci troviamo di fronte a una crisi planetaria dell'acqua, che minaccia di aggravarsi nei prossimi decenni. Il peggioramento della crisi e' accompagnato da nuove iniziative per ridefinire i diritti sull'acqua.
L'economia globalizzata sta cambiando la definizione di acqua da bene pubblico a proprietà privata, una merce che si può' estrarre e commerciare liberamente. L'ordine economico globale chiede la rimozione di tutti i vincoli e le normative sull'uso dell'acqua e l'istituzione di un mercato di questo bene. I sostenitori del libero commercio dell'acqua vedono i diritti di proprietà privata come unica alternativa alla libertà statale e i liberi mercati come il solo sostituto alla regolamentazione burocratica delle risorse idriche. Più di qualsiasi altra risorsa, l'acqua deve rimanere un bene pubblico e necessita di una gestione comune. In effetti, in gran parte delle società', ne e' esclusa la proprietà' privata. Testi antichi come le Institutiones di Giustiniano indicano che l'acqua e altre fonti naturali sono beni pubblici: "Per legge di natura questi elementi sono comuni a tutta l’umanità: l'aria, l'acqua dolce, il mare, e quindi le sponde del mare". In paesi come l'India, lo spazio, l'aria, l'acqua e l'energia sono tradizionalmente considerati esterni ai rapporti di proprietà. Nelle tradizioni islamiche, la Sharia, che originariamente connotava il "cammino verso l'acqua", fornisce la base fondamentale per il diritto all'acqua. Gli stessi Stati Uniti hanno avuto molti sostenitori dell'acqua come bene comune. "L'acqua e' un elemento mobile, itinerante, e deve pertanto continuare a essere un bene comune per legge di natura", scriveva William Blackstone, "così che io posso averne solo una proprietà di carattere temporaneo, transitorio, usufruttuario".
L'introduzione delle moderne tecnologie di estrazione ha accresciuto il ruolo dello stato nella gestione dell'acqua. Man mano che le nuove tecnologie soppiantano i sistemi di autogestione, le strutture democratiche di controllo da parte delle popolazioni si deteriorano e il loro ruolo nella conservazione si riduce. Con la globalizzazione e la privatizzazione delle risorse idriche, si rafforza il tentativo di erodere completamente i diritti dei popoli e rimpiazzare la proprietà' collettiva con il controllo delle grandi aziende. II fatto che al di la' dello stato e del mercato esistano comminuta' di persone in carne e ossa con bisogni concreti e' qualcosa che nella corsa alla privatizzazione è spesso dimenticata.
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Diritti idrici e diritti naturali
Oggi ci troviamo di fronte a una crisi planetaria dell'acqua, che minaccia di aggravarsi nei prossimi decenni. Il peggioramento della crisi e' accompagnato da nuove iniziative per ridefinire i diritti sull'acqua.
L'economia globalizzata sta cambiando la definizione di acqua da bene pubblico a proprietà privata, una merce che si può' estrarre e commerciare liberamente. L'ordine economico globale chiede la rimozione di tutti i vincoli e le normative sull'uso dell'acqua e l'istituzione di un mercato di questo bene. I sostenitori del libero commercio dell'acqua vedono i diritti di proprietà privata come unica alternativa alla libertà statale e i liberi mercati come il solo sostituto alla regolamentazione burocratica delle risorse idriche. Più di qualsiasi altra risorsa, l'acqua deve rimanere un bene pubblico e necessita di una gestione comune. In effetti, in gran parte delle società', ne e' esclusa la proprietà' privata. Testi antichi come le Institutiones di Giustiniano indicano che l'acqua e altre fonti naturali sono beni pubblici: "Per legge di natura questi elementi sono comuni a tutta l’umanità: l'aria, l'acqua dolce, il mare, e quindi le sponde del mare". In paesi come l'India, lo spazio, l'aria, l'acqua e l'energia sono tradizionalmente considerati esterni ai rapporti di proprietà. Nelle tradizioni islamiche, la Sharia, che originariamente connotava il "cammino verso l'acqua", fornisce la base fondamentale per il diritto all'acqua. Gli stessi Stati Uniti hanno avuto molti sostenitori dell'acqua come bene comune. "L'acqua e' un elemento mobile, itinerante, e deve pertanto continuare a essere un bene comune per legge di natura", scriveva William Blackstone, "così che io posso averne solo una proprietà di carattere temporaneo, transitorio, usufruttuario".
L'introduzione delle moderne tecnologie di estrazione ha accresciuto il ruolo dello stato nella gestione dell'acqua. Man mano che le nuove tecnologie soppiantano i sistemi di autogestione, le strutture democratiche di controllo da parte delle popolazioni si deteriorano e il loro ruolo nella conservazione si riduce. Con la globalizzazione e la privatizzazione delle risorse idriche, si rafforza il tentativo di erodere completamente i diritti dei popoli e rimpiazzare la proprietà' collettiva con il controllo delle grandi aziende. II fatto che al di la' dello stato e del mercato esistano comminuta' di persone in carne e ossa con bisogni concreti e' qualcosa che nella corsa alla privatizzazione è spesso dimenticata.
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Diritti idrici e diritti naturali
In tutto il mondo, nel corso della storia, i diritti idrici hanno assunto la loro forma prendendo in considerazione contemporaneamente i limiti degli ecosistemi e le necessita' della popolazione. Il fatto che la radice del termine urdu abadi, insediamento umano sia ab, acqua, riflette lo sviluppo di insediamenti umani e civiltà' lungo i corsi d'acqua. La dottrina del diritto ripario - il diritto naturale all'uso dell'acqua da parte degli abitanti che fanno capo per il sostentamento a un determinato sistema idrico, soprattutto un sistema fluviale - nasce anch'essa da questo concetto di ab. Storicamente, quello relativo all'acqua e' sempre stato trattato come un diritto naturale - un diritto che deriva dalla natura umana, dalle condizioni storiche, dalle esigenze elementari e dalle idee di giustizia. I diritti all'acqua come i diritti naturali non nascono con lo stato: scaturiscono da un dato consenso ecologico all'esistenza umana. In quanto diritti naturali, quelli dell'acqua sono diritti di usufrutto; l'acqua può essere utilizzata ma non posseduta. Gli esseri umani hanno il diritto alla vita e alle risorse che la sostengono, e tra queste c'e' l'acqua. Il suo essere indispensabile alla vita e' il motivo per cui, secondo le leggi consuetudinarie, il diritto ad accedervi e' stato accettato come un fatto naturale, sociale: "Il fatto che il diritto all'acqua sia presente in tutte le legislazioni antiche, comprese le nostre dharmasastra e le leggi islamiche, e il fatto che tali norme continuino a sussistere come leggi consuetudinarie nell'epoca moderna, contraddicono l'idea che quelli sull'acqua siano diritti puramente giuridici, ossia garantiti dallo stato o dalla legge". (Chattarpati Singh, Water and law).
* Diritti ripari
* Diritti ripari
I diritti ripari, basati su concetti come il diritto usufruttuario, la proprietà' comune e il ragionevole uso, hanno guidato gli insediamenti umani in tutto il mondo. In India, i sistemi ripari, esistono da tempo immemorabile lungo l'Himalaya. Il famoso Grand Anicut (canale) sul Kaveri presso il fiume Ullar risale a mille anni fa ed e' ritenuta la più' grande struttura idraulica di controllo del flusso di un fiume esistente in India.
E' ancora in funzione. Nel nord-est, vecchi sistemi ripari noti come dong governano l'uso dell'acqua. Nel Maharashtra, le strutture di conservazione erano note con il nome di bandhara. Anche i sistemi ahar e pyne di Bihar, in cui un canale di inondazione non arginato (pyne) trasferisce l'acqua da un corso a un bacino di raccolta (ahar), rappresentano l'evoluzione di un concetto ripario. A differenza dei canali Sone costruiti dai britannici, che
non hanno saputo andare incontro alle esigenze della popolazione, gli ahar e i pyne continuano a fornire acqua ai contadini. Negli Stati Uniti i sistemi ripari sono stati introdotti dagli spagnoli, che li avevano portati con sé.
dalla penisola iberica. Questi sistemi sono stati adottati in Colorado, New Mexico e Arizona, oltre che negli insediamenti orientali.
* I principi della democrazia dell'acqua
E' ancora in funzione. Nel nord-est, vecchi sistemi ripari noti come dong governano l'uso dell'acqua. Nel Maharashtra, le strutture di conservazione erano note con il nome di bandhara. Anche i sistemi ahar e pyne di Bihar, in cui un canale di inondazione non arginato (pyne) trasferisce l'acqua da un corso a un bacino di raccolta (ahar), rappresentano l'evoluzione di un concetto ripario. A differenza dei canali Sone costruiti dai britannici, che
non hanno saputo andare incontro alle esigenze della popolazione, gli ahar e i pyne continuano a fornire acqua ai contadini. Negli Stati Uniti i sistemi ripari sono stati introdotti dagli spagnoli, che li avevano portati con sé.
dalla penisola iberica. Questi sistemi sono stati adottati in Colorado, New Mexico e Arizona, oltre che negli insediamenti orientali.
* I principi della democrazia dell'acqua
Quelli che seguono sono nove principi che stanno alla base della democrazia dell'acqua:
1. L'acqua è' un dono della naturaNoi riceviamo l'acqua gratuitamente dalla natura. E' nostro dovere nei confronti della natura usare questo dono secondo le nostre esigenze di sostentamento, mantenerlo pulito e in quantità' adeguata. Le deviazioni che
creano regioni aride o allagate violano il principio della democrazia ecologica.
creano regioni aride o allagate violano il principio della democrazia ecologica.
2. L'acqua è essenziale alla vitaL'acqua è la fonte della vita per tutte le specie. Tutte le specie e tutti gli ecosistemi hanno il diritto alla loro quota di acqua sul pianeta.
3. La vita è interconnessa mediante l'acquaL'acqua connette tutti gli esseri umani e ogni parte del pianeta attraverso il suo ciclo. Noi tutti abbiamo il dovere di assicurare che le nostre azioni non provochino danni ad altre specie e ad altre persone.
4. L'acqua dev'essere gratuita per le esigenze di sostentamentoPoiché' la natura ci concede l'uso gratuito dell'acqua, comprarla e venderla per ricavarne profitto viola il nostro insito diritto al dono della natura e sottrae ai poveri i loro diritti umani.
5. L'acqua è limitata ed è soggetta a esaurimentoL'acqua è limitata e può esaurirsi se usata in maniera non sostenibile. Nell'uso non sostenibile rientra il prelevarne dall'ecosistema più' di quanto la natura possa rifonderne (non - sostenibilità ecologica) e il consumarne più della propria legittima quota ai danni del diritto degli altri a una giusta parte (non - sostenibilità sociale).
6. L'acqua dev'essere conservataOgnuno ha il dovere di conservare l'acqua e usarla in maniera sostenibile, entro limiti ecologici ed equi.
7. L'acqua e' un bene comuneL'acqua non e' un'invenzione umana. Non può essere confinata e non ha confini. E' per natura un bene comune. Non può essere posseduta come proprietà' privata e venduta come merce.
8. Nessuno ha il diritto di distruggerlaNessuno ha il diritto di impiegare in eccesso, abusare, sprecare o inquinare i sistemi di circolazione dell'acqua. I permessi di inquinamento commerciabili violano il principio dell'uso equo e sostenibile.
9. L'acqua non e' sostituibileL'acqua è intrinsecamente diversa da altre risorse e prodotti. Non può' essere trattata come una merce.
Noi e il nostro grasso
Noi e il nostro grasso
di Monica Lanfranco
E' un testo di 15 anni fa, ma continua ad essere fondamentale per avventurarsi nella produzione teorica sul tema del corpo e del cibo:lo ha scritto una madre storica del movimento femminista americano, Susie Orbach, e il suo titolo originale, tradotto da noi in Italia come Noi e il nostro grasso è in realtà più significativamente Fat is a feminist issue, ovvero ' Il grasso è una materia, una rivendicazione del femminismo'. A nessuna venga da ridere, perché è stato ed è ancora oggi proprio così. Non è forse vero che, come scrive Rosalind Cowall nel suo Desideri di donna "essere donna vuol dire essere continuamente corteggiata, continuamente sollecitate in cucina, per la strada, nel mondo della moda, nei film, nei romanzi?" Molte riflessioni del femminismo sono partire da qui, da questa constatazione, per iniziare proprio dall'aspetto fisico, dal corpo, e dall'imperfezione per eccellenza, la grassezza, a colpire con forza sull'ossessione più grande di ogni donna, davvero nessuna esclusa: la propria apparenza.
Del resto, anche se è vero che la magrezza può essere un problema, essa è tuttavia più facilmente annoverabile tra le 'bellezze possibili', o quantomeno alla stregua di una particolarità, tanto da consacrare alcune irrimediabili magrissime a star del cinema, elevandole nel firmamento degli idoli come esempi di avvenenza: una per tutte Audrey Hepburn, e nella moda, Twiggy.
Essere grasse, dunque. Un rischio quasi costante, per le donne, visto che, come fa notare la Brownmiller in Femminilità la corpulenza pone dei problemi a livello di immagine, perché anche se il grasso crea le celebrate rotondità, è però un fattore di pesantezza e di mole, caratteristiche associate con più facilità alle solidità e alla potenza maschili.
Ma, per fortuna, la ridondanza femminile non evoca solo fastidio, perché la sua presenza è anche simbolo positivo in molti ambiti diversi. Basti pensare alla sua valenza di fecondità e creatività nelle donne in gravidanza, o nelle statue delle divinità femminili delle religioni primitive che mai sono raffigurate magre, perché nel simbolico la magrezza è sinonimo di penuria, povertà, carestia, secchezza, e morte.
Eppure, nelle società e nelle culture dell'occidente c'è un limite fisico invalicabile, oltre al quale la bellezza del corpo femminile viene considerata irrimediabilmente compromessa , e questo limite divide le donne, anche ai loro stessi occhi, in belle e brutte, desiderabili e non, donne-donne oppure solo esseri di sesso femminile.
L'allarme circa le interazioni pericolose, per non dire letali, tra cibo e corpo è stato lanciato una ventina di anni fa in America: qui le femministe americane avevano già individuato come la sindrome 'fat' aveva scatenato tra le giovanissime un’epidemia di anoressia, effetto della martellante pubblicità e dell'omologazione a modelli precostituiti.
Perché le donne devono essere condizionate ad usare la bocca per mangiare e non per parlare, esprimersi, decidere, si chiede la Orbach? in questo modo finisce che il cibo diventa un nemico dal quale le donne devono difendersi. Sarà dopo aver capito perché e come si mangia che si potrà allora parlare del 'quanto'.
"Amati, coccolati, curati se necessario, ma non volerti identificare in un'altra immagine che non sia la tua quando ti piaci": questo è stato il messaggio di molte femministe che hanno studiato il fenomeno dei disturbi causati dal cibo. Certamente oggi l'arma dell'ironia e un raggiunto livello di maturità tra le donne riguardo la cura del corpo hanno determinato l'emergere di un certo orgoglio per quelle che da sempre sono considerato imperfezioni: Susie Blady insegna, e con lei il concorso per l'elezione della 'tap model'. E tuttavia, come suggerisce la Brownmiller, non bisogna cantar vittoria. Perché nella nostra società è ancora l'apparenza e non la realizzazione la misura della desiderabilità di una donna. Nello sforzo di adeguarsi ad un corpo ideale la corsetteria di una volta, o la dieta a sedano di oggi, sono le armi con le quali le donne tentano di vincere le loro battaglie. L'armatura femminile non è di metallo: la strategia non è basata sulla forza, ma paradossalmente sulla vulnerabilità fisica che risulta rassicurante per gli uomini. Costretta a concentrarsi sulle minuzie del proprio aspetto la donna non è mai appagata, o sicura, perché la disperata e incessante ricerca della perfezione nell'apparenza -chiamiamola vanità- è la restrizione estrema della libertà mentale. E tutto per quei pochi chili di troppo.
Del resto, anche se è vero che la magrezza può essere un problema, essa è tuttavia più facilmente annoverabile tra le 'bellezze possibili', o quantomeno alla stregua di una particolarità, tanto da consacrare alcune irrimediabili magrissime a star del cinema, elevandole nel firmamento degli idoli come esempi di avvenenza: una per tutte Audrey Hepburn, e nella moda, Twiggy.
Essere grasse, dunque. Un rischio quasi costante, per le donne, visto che, come fa notare la Brownmiller in Femminilità la corpulenza pone dei problemi a livello di immagine, perché anche se il grasso crea le celebrate rotondità, è però un fattore di pesantezza e di mole, caratteristiche associate con più facilità alle solidità e alla potenza maschili.
Ma, per fortuna, la ridondanza femminile non evoca solo fastidio, perché la sua presenza è anche simbolo positivo in molti ambiti diversi. Basti pensare alla sua valenza di fecondità e creatività nelle donne in gravidanza, o nelle statue delle divinità femminili delle religioni primitive che mai sono raffigurate magre, perché nel simbolico la magrezza è sinonimo di penuria, povertà, carestia, secchezza, e morte.
Eppure, nelle società e nelle culture dell'occidente c'è un limite fisico invalicabile, oltre al quale la bellezza del corpo femminile viene considerata irrimediabilmente compromessa , e questo limite divide le donne, anche ai loro stessi occhi, in belle e brutte, desiderabili e non, donne-donne oppure solo esseri di sesso femminile.
L'allarme circa le interazioni pericolose, per non dire letali, tra cibo e corpo è stato lanciato una ventina di anni fa in America: qui le femministe americane avevano già individuato come la sindrome 'fat' aveva scatenato tra le giovanissime un’epidemia di anoressia, effetto della martellante pubblicità e dell'omologazione a modelli precostituiti.
Perché le donne devono essere condizionate ad usare la bocca per mangiare e non per parlare, esprimersi, decidere, si chiede la Orbach? in questo modo finisce che il cibo diventa un nemico dal quale le donne devono difendersi. Sarà dopo aver capito perché e come si mangia che si potrà allora parlare del 'quanto'.
"Amati, coccolati, curati se necessario, ma non volerti identificare in un'altra immagine che non sia la tua quando ti piaci": questo è stato il messaggio di molte femministe che hanno studiato il fenomeno dei disturbi causati dal cibo. Certamente oggi l'arma dell'ironia e un raggiunto livello di maturità tra le donne riguardo la cura del corpo hanno determinato l'emergere di un certo orgoglio per quelle che da sempre sono considerato imperfezioni: Susie Blady insegna, e con lei il concorso per l'elezione della 'tap model'. E tuttavia, come suggerisce la Brownmiller, non bisogna cantar vittoria. Perché nella nostra società è ancora l'apparenza e non la realizzazione la misura della desiderabilità di una donna. Nello sforzo di adeguarsi ad un corpo ideale la corsetteria di una volta, o la dieta a sedano di oggi, sono le armi con le quali le donne tentano di vincere le loro battaglie. L'armatura femminile non è di metallo: la strategia non è basata sulla forza, ma paradossalmente sulla vulnerabilità fisica che risulta rassicurante per gli uomini. Costretta a concentrarsi sulle minuzie del proprio aspetto la donna non è mai appagata, o sicura, perché la disperata e incessante ricerca della perfezione nell'apparenza -chiamiamola vanità- è la restrizione estrema della libertà mentale. E tutto per quei pochi chili di troppo.
E a chi non avesse voglia di affrontare un saggio consiglio invece un altro registro di scrittura che solo in apparenza non ha a che fare con il tema del cibo, anche se il titolo indurrebbe a pensarlo: Digiunare, divorare di Anita Desai. Di origine indiana ma d’indole e cultura cosmopolita la Desai si addentra sul terreno del cibo passando attraverso i corpi di un fratello e una sorella, avvinti nel destino del desiderio eppure separati dal loro sesso: il primo perché maschio inviato dalla famiglia oltreoceano, in occidente mentre la sorella, più vivace e inquieta, naturale candidata all’avventura e curiosa della vita è condannata ad un’esistenza vicaria perché femmina. Sarà il cibo il filo conduttore della loro sconfitta esistenziale, il cibo odiato dalla ragazza perché segno della sua schiavitù, il cibo desiderato dal ragazzo perché unico tangibile segno del suo paese e della sua cultura, così più profumata e colorata rispetto all’anonimo e carnivoro pasto seriale alla mac donald.
BIBLIOGRAFIA
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Guiomar Rovira, Donne di mais, voci di donne dal Chiapas, Manifestolibri, 2000
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Il libro di cucina di Alice B.Toklas, La Tartaruga, 1994
Isabel Allende, Afrodita, Feltrinelli, 1997 La casa degli spiriti, Feltrinelli, 1983
Jenny Bassani Liscia, La storia passa dalla cucina Ed, ETS, 2000
Joanne Harris, Chocolat, Garzanti, 1998
Karen Blixen Il pranzo di Babette, 1997 Scrittori tradotti da scrittori, Einaudi
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M.Cristina Pellandra, La vita è poesia, prendiamola per le rime e per la gola, Aiep editore, 2000
M.Stella Sernas, I sapori del sapere, Passigli editore, 2000
Manjula Padmanabhan, Zuppa fredda morte calda, Castelvecchi, 2000
Nadia Fusini, La bocca più di tutto mi piaceva, Donzelli, 1996
Nora Seton, Il circolo della cucina, il cibo, l'amore, l'amicizia, Rizzoli, 2000
Teresa d'Avila, Regole per la vita conventuale, Sellerio,
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